Tratto dal Libro Sulle orme del lupo di Carmine
Palatucci Ed. Altirpinia
Visualizza Fiume Calore in una mappa di dimensioni maggiori
Ogni periodo vuole la sua escursione e la nostra natura ne offre agli appassionati
una tipica per qualsiasi stagione. Durante l'inverno si prediligono luoghi rocciosi
esposti al sole; in autunno spazi dove è possibile la ricerca di funghi;
in primavera, le sorgenti in piena sono un vero e proprio spettacolo della natura.
Quando arriva l'estate e la temperatura diventa torrida, l'afa non ci fa respirare
e si sogna il mare blu delle vacanze lontane o impossibili, è il momento di attraversare
le limpide e fredde acque dei fiumi irpini con le loro ombreggiate gole. Per chi
volesse fare torrentismo, il Fiume Calore è il più idoneo perché
offre varie opportunità di percorso, dal facile, al medio, al difficile e i luoghi
da guadare sono pressoché incontaminati. Ci si può avventurare sia nel gruppo
delle sorgenti della Celeca,
sia in quello del Terminio. Iniziamo da quello del Terminio.
Partendo da Montella verso Acerno si lasciano
i mezzi di trasporto al Varo della Spina. Ci avviamo a piedi per un sentiero
ai cui bordi numerose sono le orchidee
del tipo Italica che crescono spontanee. Dopo poche decine di metri incontriamo
un
ponte alto e stretto, senza protezioni. Un cartello indica la pericolosità
del posto. Proseguiamo e dopo circa dieci minuti di cammino, un fragoroso scroscio
d'acqua ci annuncia la Cascata
del Fascio (vedi foto) con relativo ponte. Essa è alta una decina
di metri e forma una pozza profonda sette-otto metri. Fu costruita in epoca fascista
e insieme al ponte serve a convogliare le acque irrigatorie della Piana
di Folloni, ad alimentare l'Ente Idrico Alto Calore.
In questo posto incontriamo numerosi giovani che si tuffano dalla cascata, sollevando
spruzzi d'acqua e facendosi trascinare dalla corrente. E' da sempre che questi
luoghi, durante l'estate, sono frequentati da bagnanti. Qui hanno imparato a nuotare
i nostri nonni e qui imparano a nuotare i nostri figli. Nelle gelide e limpide
acque, ogni pozza viene adottata da un gruppo che vi costruisce perfino una piccola
diga con pietre e arbusti, detta marrizza;
ogni ansa si trasforma in una piccola spiaggia con tanti teli stesi al sole.
Altro che tre ore di traffico per arrivare su un lido superaffollato
e altre tre ore per ritornare a casa.
Proseguendo, dopo circa un'ora e mezza di cammino, si arriva alle Vasche
della Tufara (vedi foto). Qui il torrente, nel corso dei secoli,
ha scavato nella pietra enormi vasche. Alcune sono profonde anche quattro metri
e larghe otto. In un'area di cento metri ve ne sono circa una decina. Ancora ragazzi
e ragazze che si rinfrescano. In ogni vasca, un gruppo, con relativo scambio di
pozza. A circa mezz'ora dalla Tufara ecco il tronconcìello, definito una
palestra naturale dagli appassionati. Risalirlo richiede forza, agilità, intuito
ed intelligenza. E' preferibile scalarlo in coppia. Pozze, vasche e scivoli formano
un bellissimo, primordiale, naturale scenario. Da una piccola radura, usata come
campo base, parte l'escursione vera e propria. Indossati pantaloncini e scarpe
ginniche, cominciamo la traversata lunga circa 5 chilometri. L'acqua gelida non
permette lunghe soste e sovente bisogna riscaldarsi i piedi al sole, ma piano
piano ci si abitua. Avanotti fuggono al nostro passaggio, nascondendosi
sotto le pietre; lappazzi come ombrelli ai bordi; ogni tanto
una salamandra
(vedi foto) pezzata o una biscia; tronchi caduti
formano ora dighe, ora ponti e contribuiscono ad arricchire il fascino di questa
natura selvaggia. Piccole radure si aprono al nostro passaggio; piante secolari,
ossa di animali ci raccontano la vita. Intanto, con l'acqua
fino alle ginocchia, proseguiamo verso valle, attraversando oscure gole.
Dopo tre ore di cammino, la stanchezza comincia a farsi sentire. Ma ci appare
la meta: il ponte
del fascio e la cascata. I ragazzi che abbiamo lasciato a tuffarsi, ora prendono
la tintarella. Ci raccontano di essere figli di emigranti tornati per le vacanze.
Vogliono provare le stesse emozioni dei loro genitori quando erano giovani. Hanno
sentito parlare di un fiume che scende nella valle di Montella,
dei bagni a l'urio (pozza) dei monaci. Tale pozza trovasi vicina
al convento dei frati di San
Francesco a Folloni. Ed ancora della Lavenella, della cascata della
Lavandara, de l'urio re chiuppito, re
li scarpari, re l'angeli, la pelata
re la Maronnella e del ponte medioevale detto lo
chianiello. Nei tempi passati questa zona a valle era ricca di pesci: trote
fario, carpe, anguille, gamberi
e granchi.
Una fauna ittica che permetteva la sussistenza a qualche pescatore professionista
e alla famiglia. I ragazzi continuano a raccontare vicende tramandate dal loro
genitori. Noi ascoltiamo e giuriamo di impegnarci affinché le parole dei giovani
emigranti, figli della nostra Irpinia, non restino soltanto un pezzo di nostalgia.
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