Addentrarsi in una natura selvaggia e incontaminata oggi è quasi impossibile,
perché con le strade asfaltate si può arrivare in ogni luogo. Tutto è alla portata
di tutti, facilmente, grazie al mezzi di trasporto. A chi ama veramente la natura
e cammina volentieri, consigliamo un'escursione, per esperti, accompagnato da
una guida che lo farà entrare in un mondo che soltanto gli uomini di duemila anni
fa potevano godere. E' questa la sensazione che si prova addentrandosi nel cuore
selvaggio del Parco dei Monti Picentini: Il Vallone della
neve. Partendo da Montella in direzione sud-ovest, dopo aver raggiunto,
seguendo la statale 164 che porta a Salerno, la località Pitiniti,
inizia l'escursione.
Zaini in spalla, scarponi da montagna, si scende per una strada sterrata per affrontare
la prima difficoltà. Ci troviamo alla confluenza di due torrenti, La Cerasa
e i torrenti che scendono dalla Celeca
(vedi foto). Bisogna guadarli. Ci accorgiamo che l'acqua pullula di avanotti.
E' la prova che stiamo entrando in un mondo incantato. E' in questi posti che
vivono ancora il granchio
di fiume e il rarissimo gambero d'acqua dolce. Il sentiero
sale per un po', per poi proseguire in falso piano. Ci addentriamo in un bosco
di faggi. A tratti, su Pietraia, troviamo lecci,
castagni selvatici, querce, aceri.
Sulla nostra destra, in basso, il gorgoglio dei tanti torrenti che formano il
Fiume Calore (Savina, Savinella,
Saucito,... ). Dopo circa un'ora di cammino, si apre una radura
che ospita un grande
casolare diroccato, in pietra. Qui la mente ci riporta a tempi passati. Rivediamo
il casolare (Porcino) , pieno di vita. Asini, muli carichi di
legna e castagne scendevano a valle guidati dai nostri nonni che all'occorrenza
erano boscaioli, castagnari, carbonari e maestri di mestieri in grado di assicurarci
da vivere. Riusciamo ancora a sentire le esclamazioni di gioia dei bambini che
rincorrevano cani, gatti, galline e quant'altro.
Dopo questo momento nostalgico, riprendiamo il cammino. Attraversiamo la Savina
e la Savinella. Ci sovrastano il picco Lo
Nenne (capezzolo) e il massiccio della Celeca
(vedi foto), da celecum, ossia Posto degli Dei
perché sempre coperto da nubi. Siamo nel regno del lupo, del
cinghiale e dell'aquila
reale (vedi foto). Infatti, dopo circa mezz'ora di salita affannosa,
troviamo le prime tracce
di cinghiali presso una pozzanghera. Siamo arrivati.
Prima di entrare nel vallone, ci rifocilliamo. A prima vista sembra tutto normale.
Non è così. Ci avviamo verso una grande roccia dove pare che termini il sentiero.
Lentamente però, davanti a noi si apre una enorme
gola con una vegetazione molto diversa da quella già vista. Le piante di belladonna
sfiorano i tre metri. Ora non c'è più sentiero, la salita è molto dura. Ogni tanto
troviamo resti di cinghiali sbranati dai lupi
che li accerchiano e li fanno cadere dai dirupi. In questo posto bisogna rispettare
il silenzio perché il vallone funge da cassa di risonanza e, quando si alza la
voce cadono le pietre. Cosa molto pericolosa. Dopo circa venti minuti di cammino
ecco la neve, alta 4-5 metri; sotto le foglie secche che fungono
da isolante termico. In questo posto non batte quasi mai il sole per cui la neve
non si scioglie e i vari strati insieme alle foglie fanno da calendario. Visto
che siamo accaldati ci facciamo un bel sorbetto con lo zucchero e i limoni portati
da casa.
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