Una parola per volta per imparare il dialetto montellese
suppuórtico : vano indecente posto al pianterreno
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Monte CelecaTratto dal Libro Sulle orme del lupo di Carmine Palatucci Ed. Altirpinia
Il massiccio Carsico che misura circa 2000 metri sul livello del mare, segna il confine fra Montella, Serino, Giffoni Valle Piana e Acerno. Esso è il più imponente massiccio della nostra provincia. Questa impervia montagna che domina strapiombi di roccia denominata La Celeca (vedi foto). Il nome, secondo gli storici, deriva dal latino celecum, ovvero Posto degli dei, perchè la cima quasi sempre ricoperta da nubi che le conferiscono un aspetto mistico. Così pure il picco che si staglia prorompente verso il cielo e che divide le due punte del monte: la cima della Celeca di Acerno più bassa rispetto alla cima della Celeca di Montella. Il picco è chiamato Lo nenne (vedi foto), vocabolo dialettale che significa sia bambino, che capezzolo. Pochissimi sono riusciti a scalare il picco per la friabilità delle rocce. Numerose sono le vittime che la montagna ha mietuto nel corso degli anni. Tanti inesperti si perdono fra gli anfratti e le distese di boschi di faggio, specialmente i cercatori di funghi e tartufi che sottovalutano la pericolosità del posto. Ma la Celeca non è solo pericolo. Essa offre uno spettacolo inimmaginabile. Raggiungere la sua vetta è faticoso ma si viene ripagati dalla visione che offre la natura selvaggia. E' il regno incontrastato del lupo appenninico, del cinghiale, del tasso, della salamandra pezzata (vedi foto), della vipera. Qui si librano l'aquila reale, il nibbio, lo sparviero, il gufo reale. E' anche il posto dove nascono molte piante officinali rare, di cui la nostra Irpinia ricchissima. L'insigne meridionalista Giustino Fortunato descrisse molto bene la nostra terra, ne attraversò i monti, ammettendo che la conservazione di questa natura era dovuta più al caso che all'uomo. Gli fu compagno di viaggio l'artista bagnolese Lenzi, le cui opere si possono ammirare nelle sale di Palazzo Caracciolo ad Avellino. Per chi volesse, approfittando della bella stagione, affrontare il percorso impervio deve munirsi di una buona attrezzatura da montagna, affidarsi a una o due guide del posto, godere di una preparazione atletica e non soffrire di vertigini. E' importante lasciare alla guida la scelta del periodo per l'escursione, in modo da evitare acquazzoni, tempeste di neve o sorgenti secche. Importantissimo, munirsi di ricetrasmittenti. Iniziamo un'escursione tipo. Si parte da Montella alle 6.oo del mattino e in auto si arriva fino alla località Pitiniti e si lascia il mezzo di trasporto. Il sentiero che seguiamo è quello del Vallone della neve. Ci inoltriamo in interminabili faggeti, proseguendo in direzione ovest, affrontando piccole salite. Alla nostra destra ci accoglie lo scroscio di un torrente che attraversiamo per immergerci in un posto da favola con cascate e cascatelle. Le sorgenti che ammiriamo sono quelle di Saucito, o sorgenti del Calore. Vaste zone di terra smossa, pozzanghere dette mbruscinaturi e molte orme ci fanno capire che qui i cinghiali sono numerosi. Infatti la zona è a protezione integrale del Parco dei Monti Picentini (zona A) e costituisce il cuore di questa immensa distesa verde. Dopo più di un'ora di cammino finalmente arriviamo alle sorgenti. Esse sgorgano da una grossa roccia ricoperta di muschio, felci, faggi, tassi, agrifogli. E' d'obbligo una breve sosta per una salutare bevuta di fresca acqua di fonte. Riprende la marcia e seguiamo il sentiero che costeggia il letto di un torrente, quasi secco, che raccoglie le acque piovane dei monti circostanti. A qualche chilometro si apre all'improvviso una piccola ma bellissima radura. In mezzo, un melo selvatico funge da monumento. Un serpente nero si riscalda al sole. Con molta discrezione gli passiamo accanto, aggirando le pozzanghere in cui nuotano girini (vedi foto), rane, rospi e salamandre (vedi foto). Accompagnati dal gorgoglio dell'acqua e dal canto degli uccelli iniziamo la salita. Un tortuoso sentiero si inerpica verso ovest. Per chi riesce ad arrivare in questi luoghi in autunno, sono molte le specie di funghi commestibili che pu raccogliere: porcini, amanite cesaree, ovuli, russole, chiodini, galletti. Non mancano tartufi neri e scorzoni. La fatica della salita si fa sentire. Troviamo i resti di una teleferica, tracce di cinghiali, strada meno faticosa. Stiamo per arrivare al Varco di Colle Finestra. Il varco di Colle Finestra segna il confine fra Montella e Serino. Ad ovest, sotto di noi, si apre la Vallata Ogliara di Serino, un sentiero ormai quasi perso che un tempo collegava Montella a questa valle. I resti di antiche mura hanno fatto presupporre agli studiosi che qui fosse ubicata l'antica città sannita Sabbazio. A sud-est, in lontananza, la Valle delle Mezzane e i monti del Laceno ci affascinano. Ovunque giriamo lo sguardo, non un segno dell'uomo, solo verde. A nord-est i monti che dividono il massiccio del Terminio da quello della Celeca (vedi foto) che si innalza verso sud. Ancora una breve pausa per rifocillarci e riprendiamo la marcia. Ci aspettano ancora tre ore di salita, ripida da non credersi. Distese di aglio selvatico in fiore danno la sensazione di un manto nevoso, tanto sono fitte. L'odore è intenso. Per facilitare il percorso ci aggrappiamo agli arbusti. Ogni tanto ci tocca marciare sul crinale roccioso. Enormi precipizi si aprono sotto i nostri piedi ai due lati. Dopo più di un'ora arriviamo sul crinale che segna il confine tra Montella e Giffoni Valle Piana (SA). In fondo si può ammirare la Valle del Sabato che prende il nome dall'omonimo fiume. La stanchezza comincia a farsi sentire, ma dopo un'altra sosta la marcia riprende e notiamo qualcosa di strano. Il crinale che dà a nord, verso Montella, è ricoperto da alti faggi; quello che dà a sud verso il mare, per il clima più caldo ha un'altra vegetazione. Lungo il percorso attraversiamo piccoli spazi aperti ricoperti di origano. In altri punti la strada è così ripida che bisogna stare attenti a non scivolare giù e non far rotolare massi che potrebbero causare gravi danni a chi segue. Man mano che saliamo, aumenta la rarefazione dell'aria mentre si fa più dolce la salita. Ancora un ultimo sforzo ed ecco la vetta. Intorno solo dirupi; giù ad ovest il golfo e la città di Salerno, più a sud la piana di Battipaglia, il mare, addirittura distinguiamo le navi, Paestum, Agropoli, i monti del Cilento. Da sud verso est sotto di noi, il Nenne, Laceno, la Valle dell'Ofanto, il Formicoso, Frigento e tutta l'Alta Irpinia fino ai monti Tuoro e Terminio. Ad ovest i monti Mai, la Penisola Sorrentina e la Valle dell'Irno. Ancora, il santuario del SS. Salvatore di Montella, in una rara visione per i fortunati che arrivano fin quassù. E' ora di aprire gli zaini e tirar fuori sopressate, sott'oli, pane, formaggi nostrani e una salutare bottiglia di vino aglianico. Mentre ci riposiamo si alza un forte vento e ci ritroviamo immersi nelle nubi. Sono gli Dei che, accortisi della nostra presenza reclamano il loro monte sacro. Ci affrettiamo a rimettere gli zaini in spalla e dopo un ultimo sguardo ai dirupi, che si aprono sul vallone della neve, iniziamo il viaggio di ritorno. La discesa è più difficoltosa della salita, conviene lasciarsi andare velocemente, aggrappandosi a tutto ciò che è a portata di mano per rallentare. Finalmente in piano! Alle nostre spalle il meraviglioso pezzo d'Irpinia appena lasciato. Un luogo in cui osano solo le aquile, e gli Dei la fanno da padroni.
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